Era il 1980 quando gli scarponcini Timberland arrivarono per la prima volta in Italia, ma fu negli anni '90 che divennero un vero e proprio fenomeno di massa, trasformandosi da scarpe da lavoro americane a simbolo di stile giovanile. La storia di questo successo inizia in modo del tutto inaspettato: non fu una strategia di marketing a rendere famosi i leggendari "Yellow Boots", ma un movimento culturale nato spontaneamente nelle strade di Milano che avrebbe cambiato per sempre il destino del brand.
La Timberland Company nacque nel 1973 dalla mente di Nathan Swartz, figlio di genitori ebrei il cui padre era un calzolaio emigrato da Odessa a causa della guerra imminente. Nathan iniziò la sua carriera nel 1918 come apprendista calzolaio a Boston, per poi acquistare nel 1952 metà della Abington Shoe Company nel Massachusetts. Nel 1965, la famiglia Swartz introdusse una tecnologia rivoluzionaria: lo stampaggio a iniezione, che permetteva di fondere la suola al resto della scarpa, creando una calzatura completamente impermeabile.
Inizialmente, le Timberland erano destinate esclusivamente ai lavoratori delle fabbriche, dell'edilizia e ai boscaioli del New England. Gli scarponcini nascevano come calzature tecniche per affrontare le condizioni climatiche estreme del New Hampshire, dove l'azienda si era trasferita, circondata da montagne, boschi e un clima che poteva passare dalle calde giornate estive alle bufere di neve in poche ore.
Il destino del marchio cambiò completamente quando, nel 1980, iniziò l'esportazione in Europa, partendo proprio dall'Italia. Fu qui che accadde qualcosa di straordinario e del tutto imprevisto: i giovani del movimento milanese dei Paninari scoprirono e adottarono gli scarponcini Timberland, trasformandoli da scarpe da lavoro in status symbol.
I Paninari erano figli della buona borghesia milanese degli anni '80, giovani che frequentavano il bar "Al Panino" in Piazza Liberty e successivamente il fast food Burghy in Piazza San Babila. La loro filosofia era l'antitesi dell'impegno politico del decennio precedente: ostentazione, benessere, consumismo e totale disimpegno sociale. Il loro motto era essere sempre perfettamente abbigliati con marchi costosi e riconoscibili.
Nel loro dress code, rigorosamente codificato, le Timberland occupavano un posto d'onore. I Paninari indossavano specificamente il modello Chukka Newman del 1973, gli stivaletti in pelle scamosciata del classico colore ocra che venivano chiamati semplicemente "Timba" nel loro gergo. Questi scarponcini completavano un look che comprendeva i jeans Levi's 501 con il risvoltino per mostrare le calze Burlington a rombi, le felpe Best Company, i piumini Moncler e le cinture El Charro con fibbie vistose.
I Paninari fecero la fortuna di Timberland in modo del tutto involontario, diventando gli inventori internazionali della moda giovanile contemporary. Come ricorda la stessa azienda, questi giovani milanesi "indossarono e lanciarono il marchio Timberland, fino ad allora sconosciuto". Era paradossale: ragazzi di città che non avevano mai visto un bosco indossavano le scarpe dei taglialegna americani, ma proprio questa incongruenza rendeva il fenomeno ancora più affascinante.
La scelta delle Timberland da parte dei Paninari non era casuale. Come spiegano gli esperti di costume dell'epoca, i giovani milanesi avevano fatto una scelta stilistica precisa: emulare la classe operaia americana. Indossavano capi che richiamavano il selvaggio West e il lavoro manuale - dai jeans Levi's 501 nati come pantaloni da cowboy agli scarponcini da boscaiolo - ma rigorosamente di marca e molto costosi.
Il fenomeno si diffuse rapidamente da Milano in tutta Italia. A Roma i giovani con lo stesso stile venivano chiamati "Tozzi", a Bologna "Zànari", a Verona "Bondolari". In ogni città, le Timberland rappresentavano il marchio di riconoscimento di una generazione che aveva fatto del consumismo e dell'apparenza i propri valori fondamentali.
Negli anni '90, mentre il movimento paninaro si evolveva e si trasformava, le Timberland conquistarono un nuovo pubblico completamente diverso: la cultura hip-hop americana. Rapper come Tupac Shakur e Notorious B.I.G. iniziarono a indossare gli Yellow Boots senza che l'azienda facesse alcuna mossa pubblicitaria per entrare nelle loro grazie. Questo fenomeno si rivelò cruciale per il successo globale del brand.
La cultura rap degli anni '90 adottò le Timberland per ragioni simili ma diverse da quelle dei Paninari: rappresentavano autenticità, resistenza e orgoglio della classe lavoratrice. Per i rapper, gli scarponcini gialli simboleggiavano le proprie origini umili e la determinazione a emergere dalle strade. Da Jennifer Lopez a Rihanna, le Timberland divennero un elemento fisso del guardaroba hip-hop, indossate non solo nella vita quotidiana ma anche sui palchi dei concerti.
In Italia, questo doppio fenomeno - paninari e cultura rap - fece esplodere definitivamente il successo delle Timberland negli anni '90. Non erano più solo i "galli" di Milano a indossarle, ma tutti i giovani che volevano appartenere a una cultura giovanile internazionale. Le Timberland attraversarono tutte le classi sociali e i gusti musicali, dai teenager di periferia ai figli della borghesia metropolitana.
Il brand, che inizialmente non aveva capito cosa stesse succedendo, si rese presto conto dell'enorme potenziale di questo mercato inaspettato. Tuttavia, mantenne sempre un approccio autentico, continuando a produrre scarpe con gli stessi standard di qualità delle calzature da lavoro originali. Questo contribuì a mantenere la credibilità del marchio presso entrambi i pubblici: chi le indossava per lavoro e chi le sceglieva per stile.
Gli anni '90 videro anche l'evoluzione del linguaggio legato alle Timberland. Nascevano espressioni come "timbare" per indicare l'atto di indossare gli scarponcini, mentre lo slogan pubblicitario "Chi ama le Timberland le tratta male" diventava parte del linguaggio giovanile comune. I giovani imparavano che più le scarpe erano "vissute", sporche e usurate, più dimostravano autenticità e esperienza.
La qualità costruttiva delle Timberland giustificava il loro costo elevato: un paio poteva costare dalle 200.000 alle 350.000 lire, cifra considerevole per l'epoca, ma la loro durata era leggendaria. Molti giovani degli anni '90 conservano ancora oggi le loro prime Timberland, testimonianza della qualità di costruzione che caratterizzava (e caratterizza tuttora) il brand.
Verso la fine del decennio, le Timberland avevano completato la loro trasformazione da scarpe tecniche a icona di stile globale. Il successo italiano aveva contribuito a far conoscere il marchio in tutta Europa, mentre l'adozione da parte della cultura hip-hop lo aveva reso famoso in tutto il mondo. Era l'inizio di un fenomeno che avrebbe continuato a influenzare la moda streetwear per i decenni successivi.
Alla fine degli anni '90, Timberland aveva ampliato la propria gamma producendo non solo scarpe, ma anche capispalla e accessori in pelle impermeabile, oltre ad attrezzature per l'escursionismo. L'azienda aveva imparato la lezione del successo italiano: non sempre sono le strategie di marketing a creare le icone di stile, a volte basta che un prodotto autentico e di qualità incontri la creatività e l'intuizione dei giovani di strada.
Quello che non tutti sanno
Il caratteristico colore "Wheat" (grano) delle Timberland più famose fu scelto per motivi puramente pratici: doveva mimetizzarsi con la segatura e la polvere dei cantieri edili, non per creare un impatto estetico. Il logo dell'albero che caratterizza tutte le Timberland non rappresenta una specie particolare, ma simboleggia l'impegno dell'azienda verso la sostenibilità ambientale: per ogni paio di scarpe venduto, l'azienda pianta un albero. I Paninari milanesi avevano l'abitudine di sporcare appositamente le loro Timberland nuove con grasso di foca per renderle più "vissute" e autentiche, pratica che diventò così diffusa che alcuni negozi iniziarono a vendere il grasso separatamente. Le Timberland furono fornite in dotazione ai militari del Special Air Service britannico durante la Guerra del Golfo nel 1991, confermando le loro qualità tecniche anche in condizioni estreme. Infine, il termine "Timba" coniato dai Paninari è entrato nel vocabolario italiano informale ed è ancora oggi utilizzato per riferirsi genericamente agli scarponcini, indipendentemente dal marchio.