VHS e videoregistratore: quando il cinema arrivò a casa nostra


Prima di Netflix, prima dei DVD, prima ancora che esistesse il concetto di "on demand", c'era lui: il videoregistratore VHS, quel parallelepipedo grigio che negli anni Novanta troneggiava orgoglioso sotto ogni televisore italiano. Era la porta d'ingresso verso una rivoluzione silenziosa che avrebbe cambiato per sempre il modo di vivere l'intrattenimento domestico. Per la prima volta nella storia, le famiglie potevano decidere cosa guardare e quando farlo, liberandosi dalla tirannia dei palinsesti televisivi.


Il Video Home System, meglio conosciuto come VHS, nacque nel 1976 dalla geniale intuizione della giapponese JVC, ma fu negli anni Novanta che esplose definitivamente nelle case italiane. La diffusione di massa avvenne proprio in quel decennio, quando i prezzi divennero accessibili e ogni famiglia poteva permettersi il lusso di avere il cinema in salotto. Era l'epoca d'oro delle videoteche, quando il venerdì sera significava pellegrinaggio al negozio di noleggio per scegliere il film della serata.

Il videoregistratore VHS era molto più di un semplice lettore: era un compagno di vita che richiedeva attenzioni e competenze specifiche. Bisognava saper programmare il timer per registrare i programmi televisivi, operazione che diventava un'arte per gli esperti e un incubo per i meno pratici. Post-it attaccati ovunque con orari e canali, cronometraggi millimetrici per non perdere l'inizio del film, bestemmie quando la programmazione saltava per un cambio di palinsesto dell'ultimo minuto.

Le videocassette VHS erano oggetti fisici che occupavano spazio e richiedevano cura. Ogni famiglia aveva la sua collezione, orgogliosamente esposta in librerie dedicate: film registrati dalla TV con etichette scritte a mano, capolavori noleggiati e copiati di nascosto, videocassette vergini tenute da parte per le occasioni speciali. Era un'epoca in cui possedere una copia di "Titanic" o "Jurassic Park" aveva un valore quasi sacrale.

La qualità non era mai perfetta, anzi spesso era decisamente scadente, ma nessuno se ne lamentava. Le immagini sgranate, i colori slavati, i disturbi audio facevano parte del fascino. Ogni visione consumava un po' il nastro magnetico, creando imperfezioni uniche che rendevano ogni copia diversa dall'originale. E quando il nastro si inceppava, diventava un dramma: bisognava aprire delicatamente la cassetta e riavvolgere a mano chilometri di pellicola con la punta di una matita.

Il videoregistratore trasformò anche il modo di guardare i film. La funzione pausa permetteva interruzioni impossibili al cinema, il riavvolgimento consentiva di rivedere le scene preferite all'infinito, la velocità accelerata faceva sorridere con le voci acute dei personaggi. I bambini scoprirono il piacere perverso di guardare i cartoni al contrario, mentre gli adulti apprezzavano la possibilità di saltare le pubblicità nelle registrazioni.

La guerra dei formati tra VHS e Betamax segnò gli anni Ottanta, ma alla fine vinse il primo grazie a una strategia commerciale più aperta e alla maggiore durata delle cassette. Il VHS poteva registrare fino a 6 ore in modalità EP (Extended Play), sacrificando la qualità ma offrendo una capacità imbattibile. Era il trionfo della praticità sulla perfezione tecnica, una lezione che si ripeterà spesso nella storia della tecnologia.

Negli anni Novanta il VHS raggiunse la sua maturità tecnologica con l'introduzione dell'audio stereo Hi-Fi e dei miglioramenti VHS-HQ (High Quality). I modelli più sofisticati avevano display digitali, telecomandi multifunzione e persino la possibilità di duplicare le cassette. Era l'apice di una tecnologia destinata a essere soppiantata dal digitale nel giro di pochi anni.

L'eredità del VHS va oltre la semplice tecnologia: ha democratizzato l'accesso ai contenuti audiovisivi, ha creato una cultura della collezione domestica, ha insegnato l'arte della programmazione e della pazienza. Ha accompagnato intere generazioni nella scoperta del cinema d'autore e dei guilty pleasure, ha reso possibili le maratone notturne e i rewatch ossessivi.

Quello che non tutti sanno
Il formato VHS vinse la guerra contro il tecnicamente superiore Betamax anche grazie all'industria pornografica, che scelse massicciamente il sistema JVC per la distribuzione dei suoi contenuti, influenzando indirettamente le scelte dei consumatori. La sigla VHS originariamente significava "Vertical Helicoidal Scan" (scansione verticale elicoidale), riferita alla tecnica di registrazione, e solo successivamente fu reinterpretata come "Video Home System" per scopi commerciali. Nel 2016 l'ultima azienda al mondo a produrre videoregistratori VHS, la giapponese Funai Electric, cessò definitivamente la produzione dopo aver venduto circa 750.000 unità nel 2015, principalmente a collezionisti e nostalgici. Le videocassette VHS potevano contenere fino a 430 metri di nastro magnetico, e una cassetta da 240 minuti pesava circa 280 grammi. La velocità standard di registrazione SP era di 23,39 mm/s, mentre in modalità LP scendeva a 11,69 mm/s e in EP a 7,79 mm/s. Curiosamente, molti videoregistratori VHS degli anni Novanta avevano un orologio interno che spesso lampeggiava "12:00" perché la maggior parte degli utenti non riusciva mai a programmarlo correttamente, diventando un simbolo pop dell'analfabetismo tecnologico dell'epoca.