Era l'utopia tecnologica degli anni Novanta fatta realtà: un unico dispositivo che racchiudeva televisore e videoregistratore VHS in un'elegante scocca nera. I TV combo, o televisori con VHS incorporato, rappresentarono il sogno dell'home entertainment semplificato, quando l'idea di avere tutto integrato in un solo apparecchio sembrava la soluzione perfetta per ogni problema domestico. Non più cavi aggrovigliati, non più due telecomandi da perdere, non più spazio occupato da dispositivi separati: tutto il cinema di casa in un colpo solo.
L'idea nacque dalla logica commerciale più elementare: se le famiglie italiane stavano comprando televisori e videoregistratori separatamente, perché non offrire entrambi in un'unica soluzione? I primi modelli apparvero sul mercato italiano verso la fine degli anni Ottanta, ma fu nel decennio successivo che esplosero definitivamente. Marchi come Philips, Grundig, Samsung, Sony e persino le italiane Mivar e Sinudyne proposero i loro TV combo, generalmente in formati da 14, 20 o 21 pollici, perfetti per camerette e cucine.
Il design era funzionale quanto necessario: nella parte superiore il televisore a tubo catodico con il suo schermo rettangolare, sotto la fessura per inserire le videocassette VHS con tutti i controlli del videoregistratore. I tasti erano disposti ordinatamente sotto lo schermo: accensione, espulsione cassetta, play, pausa, stop, riavvolgimento, avanzamento veloce. Un display a LED mostrava l'ora e lo stato del dispositivo, mentre il telecomando unificato prometteva di controllare tutto con semplicità.
La prometteva era allettante: inserivi la videocassetta, premevi play e godevi del film senza dover collegare nulla. Potevi registrare i programmi televisivi direttamente senza dover sincronizzare due apparecchi diversi. Il timer integrato permetteva di programmare registrazioni fino a quattro settimane in anticipo, una funzione che all'epoca sembrava fantascientifica. Per le famiglie con poco spazio, specialmente per le seconde case al mare o in montagna, i TV combo erano la soluzione ideale.
La realtà, come spesso accade con le innovazioni tecnologiche, era più complessa. I TV combo soffrivano del problema dell'integrazione: quando si rompeva una componente, l'intero dispositivo diventava inutilizzabile. Se il videoregistratore si guastava, perdevi anche la TV; se il tubo catodico si fulminava, addio anche alla possibilità di guardare le videocassette. Era il dilemma dell'uovo nella stessa cesta, amplificato dalla tecnologia analogica delicata dell'epoca.
Le dimensioni compatte erano un altro limite nascosto: gli schermi raramente superavano i 21 pollici, inadatti per il salotto principale dove le familiare volevano godersi i film in grande. I TV combo finivano spesso nelle camerette dei ragazzi, in cucina o nelle taverne, relegati a un ruolo secondario rispetto ai "veri" televisori del soggiorno. La qualità audio, compressa in un singolo altoparlante laterale, non reggeva il confronto con i sistemi stereo separati.
Nonostante i limiti, i TV combo ebbero il loro momento di gloria. Erano perfetti per chi voleva una soluzione semplice e immediata, senza complicazioni tecniche. Molti li ricordano con affetto per la praticità d'uso: accendevi tutto con un solo pulsante, inserivi la cassetta e il gioco era fatto. Per i bambini e i teenager erano l'indipendenza audiovisiva totale: il proprio cinema personale da gestire senza chiedere permessi o spartire con il resto della famiglia.
L'arrivo del DVD e successivamente della televisione digitale segnò la fine dell'era dei TV combo. La tecnologia VHS diventò rapidamente obsoleta, e con essa tutti questi dispositivi ibridi. Molti finirono dimenticati in soffitte e cantine, testimoni silenziosi di un'epoca in cui l'integrazione tecnologica sembrava la risposta a tutti i problemi domestici.
Oggi i TV combo sono diventati oggetti vintage ricercati da collezionisti e nostalgici. Su eBay e nei mercatini dell'usato si trovano modelli Philips, Grundig e Samsung funzionanti, spesso venduti come "ideali per visionare vecchie videocassette". Sono i sopravvissuti di un esperimento tecnologico che, pur non avendo rivoluzionato il mondo come promesso, ha accompagnato l'infanzia e l'adolescenza di migliaia di italiani negli anni Novanta.
Quello che non tutti sanno
I TV combo erano tecnicamente più complessi dei semplici televisori o videoregistratori separati perché dovevano gestire internamente il switching tra segnale TV e segnale video delle cassette, richiedendo circuiti elettronici aggiuntivi che spesso erano fonte di guasti. Philips sviluppò una versione particolare chiamata "Combi Color" che includeva anche un decoder per il digitale terrestre, anticipando di anni l'integrazione che sarebbe diventata standard. I modelli Grundig della serie TVR avevano una funzione unica chiamata "VPS" (Video Programme System) che permetteva di registrare automaticamente programmi TV anche se iniziavano in ritardo rispetto al palinsesto, una tecnologia che oggi diamo per scontata nei decoder digitali. La qualità video dei TV combo era spesso superiore a quella ottenibile collegando un videoregistratore esterno a un televisore economico, perché il segnale rimaneva in forma analogica interna senza subire conversioni aggiuntive. Curiosamente, molti TV combo avevano una durata maggiore dei videoregistratori separati dell'epoca perché i costruttori utilizzavano meccaniche VHS più robuste per evitare resi in garanzia su prodotti già complessi da riparare. Alcuni modelli avanzati includevano persino la funzione PIP (Picture in Picture) che permetteva di vedere un programma TV in una finestra mentre si guardava una videocassetta, una caratteristica che oggi ritroviamo nei moderni smart TV.